VENERDI' SANTO - Processione "Salita al Calvario" e Crocifissione

Dalle ore 7.00 del Venerdì Santo, ogni quarto d’ora, il silenzio è interrotto dal rombo provocato dallo scoppio di un mortaretto che viene sparato dalla rocca detta ri maschi, che si trova in alto, a perpendicolo sul Calvario: è il cosiddetto “sparo del quarto”. Il sole è gia alto quando sul sagrato della Matrice giungono i confrati.
Quando varcano la soglia del portone laterale, in chiesa tutto è già pronto per la solenne liturgia “In Passione Domini”.
Con la celebrazione liturgica della Passione la Chiesa intera rivive, nella fede, la morte del Cristo suo Signore; è il silenzio che domina, misto ad un senso di vuoto: la prostrazione silenziosa dei sacerdoti celebranti esprime il silenzio dell’uomo davanti al mistero di un Dio che muore per amore.
La lettura, a voci alterne, del cosiddetto “Passio” è toccante e coinvolge i cuori.
La chiesa è gremita di fedeli. Tutti si alzano quando dal fondo della navata appaiono i sacerdoti che conducono il simulacro del Cristo coperto da un panno viola.
Piano piano, l’effigie del Cristo in Croce viene liberata dal panno che la occulta.
Sacerdoti, confrati e fedeli si prostrano baciando i piedi del Crocifisso “della Catena”, accompagnati da canti penitenziali e inni alla Croce.
La funzione liturgica si avvia alla conclusione. In un ampio locale adiacente l’abside, il corpo del Cristo è adagiato sul lenzuolo che, tra poco, lo sosterrà nella salita al Calvario.
Intanto, i confrati si avviano disponendosi su due file.

Alcuni colpi di mortaretto accolgono il corpo del Cristo all’uscita dalla Chiesa.
Le tristi note della banda accompagnano l’inizio della toccante processione al Calvario. Il simulacro del Cristo, adagiato su un lenzuolo bianco, viene condotto verso il luogo della crocifissione dai sacerdoti.
Alla mesta processione partecipano i numerosi membri delle confraternite “Bianche”, istituzioni laiche la cui presenza a Corleone è documentata già nel XIII secolo, ma riconosciute dalla Chiesa solo due secoli più tardi). Il loro nome deriva dal colore del cosiddetto “cammìsu”, il lungo camice di lino indossato dai “fratelli”, che hanno il capo coperto da un cappuccio la cui estremità superiore è pieghettata a ventaglio. Il diverso colore della mantella distingue le confraternite (ognuna delle quali ha un compito ben preciso nei riti della Settimana Santa corleonese) e serve anche a creare uno spirito di fratellanza che annulla le differenze sociali dei membri.

In origine prendevano parte alla processione nove Confraternite. Oggi solo quattro vi partecipano: “Maria SS. del Carmelo” (costituita ne l 1600 e i cui confrati, che si distinguono dal colore marrone dell’abitino, portano anch’essi una croce da cui pende una lunga benda bianca); “Santi Elena e Costantino” (che fu costituita nel 1200 per dare assistenza e beneficenza ai confrati e alle loro famiglie); “Santi Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo”; e, infine, quella dei “Bianchi dell’Ospedale” (che diede origine alla celebrazione del Venerdì Santo a Corleone nel XV secolo). Non vi partecipano più quelle dell’Immacolata Concezione, del Rosario, del Soccorso, del Nome di Gesù e del SS. Sacramento.
La processione viene guidata dalla “Grande Croce” dell’Ospedale dei Bianchi; due fanali, che la affiancano, simboleggiano la luce divina che si inoltra nelle vie del mondo lungo la strada che porta al Calvario.
Tre bambini “fratelli” della compagnia dei “Santi Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo” (che precedono il Cristo e si distinguono dal colore rosso della mantellina) trasportano su altrettanti vassoi gli strumenti del supplizio: tre chiodi acuminati, la corona di spine, i martelli.
Ogni confraternita è guidata dalla rispettiva cosiddetta “bacchetta”, un’asta che termina in cima con una piccola croce artisticamente lavorate in argento .

La musica della banda tace. Si odono, ora, altri suoni: quello cupo del tamburo coperto da un drappo nero; quelli lugubri dei mortaretti che rimbombano dalla rocca “ri maschi”; il canto dei fedeli.
La banda riprende a suonare, quando, dopo aver percorso le strade della zona più antica della città, la processione, già lenta, nell’acciottolata erta del Calvario rallenta ancora di più il passo. I gravi movimenti di confrati e fedeli sono accompagnati dalle note di un’austera marcia funebre che fa vibrare i cuori: fu composta tra il 1935 ed il 1936 dal maestro corleonese Pietro Cipolla in memoria del fratello Giorgio ed è a tutti nota semplicemente come “Marcia numero 14”, dal numero d’ordine che la stessa occupa nel libretto degli spartiti.
Il corteo giunge alla sommità del colle dove è issata la Croce.
La semplicità del Calvario s’intona con la povertà del rito.
Due sacerdoti salgono sulle scale appoggiate alla croce. Cristo viene issato lentamente e inchiodato.
I fedeli, che numerosi assiepano e circondano il colle, assistono commossi. E intonano tristi canti.
Alle ore  4.00 del pomeriggio, un ripetuto sparo di mortaretti (una “maschiata”, come la chiamano i corleonesi) ricorda che in quell’ora Cristo morì.
Da questo momento, e fino a quando il Cristo non sarà deposto, ininterrotto sarà il commosso pellegrinaggio dei fedeli al Calvario.
Rendono omaggio al Cristo crocifisso anche i confrati dell’Addolorata, che pregano mentre salgono al Calvario.
Poi, giunti sotto la croce, intonano canti, riconoscendosi in Colui che muore e riconoscendo in Lui il fratello che redime dalla schiavitù del peccato del mondo, radice di tutti i mali, che salva dalle giustizie negate e dalle dignità calpestate.

- Testo tratto dal documentario “IL VENERDI SANTO A CORLEONE ” (Editrice Il Sole, 2007), testo e regia di Giovanni Montanti.
- Foto a cura di Salvatore Ciambra (3 aprile 2015).